Benvenuti alla 59° Biennale. Il Padiglione dell’Oman per la prima volta a Venezia.

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Alla 59° Biennale delle Arti di Venezia espongono per la prima volta cinque paesi: Namibia, Nepal, Camerun, Uganda e Oman.

Vorrei soffermarmi su quest’ultima partecipazione.

Come trasformare un macigno in una piuma? Con la cartapesta direte, senza tante esitazioni. Sì, forse è questa la risposta logica anche per rispettare la capacità di carico delle capriate in legno dell’Arsenale che hanno secoli sulle spalle.

Ma perché farlo?

Il sultanato dell’Oman è rappresentato da tre generazioni di artisti contemporanei che si interrogano su una comune domanda: “Come sarebbe la vita senza di noi?”.

Una domanda che si aggira probabilmente ancora fumosa al fondo di molti di noi e che trova finalmente qui lo spazio per esprimersi. Perché la percezione diffusa ai margini di una pandemia e di una guerra è che siamo una specie veramente “pericolosa per sé e per gli altri”, pianeta compreso; un po’ meno diffusa, probabilmente perché più impressionante, è la consapevolezza che l’esito dei nostri comportamenti a questo punto della Storia può essere senza ritorno. Non per il pianeta che sopravvive a noi, dopo essersi dato una scrollatina, ma per l’umano.

Ecco che allora vale la pena farsi domande come quella postasi da molti artisti in questa edizione e dare delle visioni in risposta. Perché questo sanno fare gli artisti.

Tra queste mi piace raccogliere quella di Budoor Al Riyami, un’artista multimediale che, dopo aver vissuto per mesi in eremitaggio sulle montagne di Jebel Akhdar, scopre nel corso delle sue passeggiate in solitario “l’energia straordinaria emanata da quelle antiche pietre” e ispira la sua installazione Breathe (Respirare) a questi paesaggi montuosi unici dell’Oman. Protagonista è la roccia ignea chiamata peridotite che “inala” anidride carbonica: l’acqua che passa sopra la roccia avvia un processo di mineralizzazione, che a sua volta decarbonizza l’aria.*

Al Riyami ha creato sculture che emulano l’aspetto della peridotite e le sospende su pozzanghere di resina su cui proietta video clip di mani umane che manipolano la materia. La curatrice del Padiglione Aisha Stoby racconta: “L’idea è di chiederci come facciamo a provare a modellare i nostri ambienti quando i nostri ambienti sono perfettamente in grado di modellarsi da soli”. Viene così dichiarata la insopprimibile vocazione umana a creare, trasformare, intervenire, lasciando sullo sfondo la questione in questa epoca essenziale: come agire senza interferire, deformare, distruggere?

Ancora una volta, come avremo modo di vedere visitando la Biennale, c’è un messaggio trasversale nelle opere di molti artisti quest’anno: fermiamoci, entriamo in contatto estetico (estatico) con la Terra e ricaviamo da questo dialogo ispirate risposte.

Acqua calda, per millenni la norma del comportamento, in quest’epoca appare come il Sacro Graal. Evviva il sacro graal!

A presto.

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La prossima visita guidata alla Biennale è sabato 11 giugno.

*https://www.wallpaper.com/art/oman-pavilion-59th-venice-biennale-2022

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