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«Tu cosa vuoi? Taci» E io zitta

«Tu cosa vuoi? Taci» E io zitta

di Luisa Fantinel *

Lunedì 25 Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.

Assistiamo a una crescente onda di consapevolezza e solidarietà che sta aiutando le donne a prendere coraggio e a denunciare le violenze subite. Questo presuppone l’avviarsi di un sentimento essenziale rivolto verso sé e verso il mondo esterno: la fiducia.
Esiste però ancora un’eredità millenaria incorporata di madre in figlia, di zia in sorella che spinge al silenzio e all’accettazione davanti alla violenza e che tutt’ora paralizza. Su cosa si basa questa legge silenziosa? La troviamo già nel grande teatro greco quando Lisistrata nell’omonima commedia ricorda le parole del marito:
«Tu cosa vuoi? Taci. E io zitta».
Lisistrata sta prendendo consapevolezza dei propri passi falsi nella relazione col marito violento e si riconosce, quasi duemila e cinquecento anni fa, nei panni della vittima. Al contempo, però riesce a vedersi anche corresponsabile del proprio essere vittima, confermandosi così debole ai propri occhi.
E sentirsi, non per forza esserlo, così inetta impedisce di cambiare le cose.
Anche Cristina Pisana nel 1405 alla corte reale francese indaga sui propri sentimenti e scopre che è vittima oltre che delle violenze patriarcali, delle proprie difese che la spingono a dare comunque
ragione all’aggressore: «Continuai tuttavia a pensare male delle donne. Ritenevo che sarebbe stato troppo grave che uomini così famosi (…) avessero scritto delle menzogne e in tanti libri (…): doveva essere veramente così.
Era in questo modo che mi affidavo più ai giudizi altrui che a ciò che io sentivo e sapevo nel mio essere donna».
L’invito che ci arriva da più di cinquecento anni è di affidarci a ciò che sentiamo e sappiamo del nostro essere donna.

Ed è un’impresa difficilissima per una donna vittima di violenza che si sente sola, una trapezista, lassù nella sua piccola piattaforma. Per
quanto piccola è pur sempre un luogo sicuro, ritagliato nella violenza; ritirata lì, riesce ancora a sopravvivere.
La buona notizia è che oggi, sempre più, non è sola: la rete di salvataggio che vede sotto di sé è reale e tenuta da forze dell’ordine, psicoterapeuti, assistenti sociali e dalle sorelle, quella moltitudine
di donne legate da esperienze comuni e di giovani donne (e giovani uomini) sempre più consapevoli del valore profondo del femminile.
Il salto lo può fare solo lei, ed è pauroso. È una vera e propria rivoluzione, è il salto della separazione da chi ha sentito, anche se solo per un po’, fonte di amore e sicurezza. Ma ogni donna può essere molto coraggiosa, ancor più se ai bordi della rete c’è chi la aspetta per un abbraccio di ripartenza e di rinascita.


*storica dell’arte arteterapeuta

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