Canova e la bellezza. Possiamo reggerla?

HomeBlogArticoliCanova e la bellezza. Possiamo...

Fig. 1, Antonio Canova, Francesco de Marchi, 1813. Foto di Alberto Cammozzo.
Fig. 2, Antonio Canova, Le Tre Grazie, 1812, bozzetto in terracotta. Foto di Alberto Cammozzo
Fig. 3, Antonio Canova, Amore e Psiche stanti, 1800, marmo, particolare.
 

Sono uscita dalla mostra IO CANOVA. GENIO EUROPEO del Museo Civico di Bassano con una sensazione. E’ passata quasi una settimana e questa sensazione non solo non è scemata e scomparsa ma, al contrario ha aperto la porta a domande, dubbi, ricerca, curiosità, studio…

Tra i rivoli di questa cascata, uno più degli altri mi ha portata a una domanda scomoda, quasi fastidiosa, un pungolo che appena trova uno spazio mi si para davanti.

Cosa è la bellezza? Cosa è per me oggi in questo punto della Storia e della mia vita?

Può centrare ancora qualcosa con quella che Canova esibisce traboccante, continuamente, persino fastidiosamente? Una bellezza classica, si usava dire.

Quasi insopportabile da ottant’anni a questa parte, da quando le avanguardie hanno portato davanti ai nostri occhi il brutto, il disgregato, il frammentario, lo spezzato, sfregiato, sfocato, bruciato, ferito, annerito, squarciato. E lo hanno poi nutrito e sommerso di pensieri.

Perché allora le sale della mostra di Bassano non mi hanno più lasciata da quando ho visto la mostra, accompagnandomi come una malia?

Il busto ritratto di Francesco de Marchi (1504-1576) (Fig. 1), capitano, speleologo e tra i primi a scalare il Gran Sasso esposto nella selva di sculture della prima sala può entrare nelle stanze del nostro gusto contemporaneo e della nostra mente perché sufficientemente deturpato dai quei chiodini di repere; come se essi infliggessero alla bellezza della statuaria classica il trattamento dovuto e istituito dall’estetica contemporanea.

Si deve rovinare la forma perfetta, infilzarla, perché essa non è bella buona vera e giusta, come vuole la quaterna dell’estetica greco classica, ma è l’esatto contrario: il bello classico è falso, ingiusto, cattivo e dunque, in virtù di ciò, brutto.

Il bello classico è brutto. Perché non dice la verità, figuriamoci tutta la verità.

O superficiale, comunque non impegnato, non si interessa dei destini del mondo reale, quotidiano. Il bello classico segna una fuga nell’ideale mai più perdonata da quasi un secolo ormai. Da quando la seconda guerra mondiale ha alzato il velo sulla realtà quale mostruosità, malvagità, dolore, trauma…

Ma Durer, Goya avevano fatto lo stesso e come loro per secoli altri artisti: avevano alzato il velo, svelato e rivelato la dimensione del male, naturale per la nostra specie ne I disastri della guerra, ne I cavalieri dell’Apocalisse non bandendo il bello dall’arte perché avevano incontrato il male del mondo, ma creavano e ricreavano il bello nonostante il brutto. E per il mondo ponevano sempre e nuovamente il bello.

Se voglio raccontare l’esistenza umana devo inscriverla nel grande flusso di costruzione e distruzione dei fenomeni naturali che comprende creazione e distruzione (filia, l’unione e neikos, il contrasto empedoclei); non posso raccontare l’interezza del mondo solo attraverso il brutto, giudicando il bello non autentico o, viceversa, radiando il brutto dall’orizzonte della creazione.

Ecco perché i chiodini di repere di Canova sono stati apprezzati dallo sguardo contemporaneo, perché tenevano insieme distruzione e riparazione e il bello regge e resiste all’urto del chiodo anche se sadico, il bello regge. [Ricordiamo che i gessi con i punti di repere costituivano una fase intermedia nella realizzazione dell’opera ed avevano una funzione tecnica, non estetica, il pubblico non ne vedeva traccia nel marmo finale].

Anche i bozzetti canoviani in terracotta quali quello delle Tre Grazie (Fig. 2), quelli con le impronte delle dita stampate a modellare le superfici, quelli che ricordano le opere di Medardo Rosso, piacciono al pubblico contemporaneo. Sono sufficientemente “brutti”, non finiti, attaccati dall’urto della modellazione e anzi esistenti grazie all’energia del gesto.

Ma non sono queste le opere della mostra del Canova che mi stanno accompagnando, anzi mi seguono, per non dire che mi pedinano.

Non dai punti di repere, non dai bozzetti in terracotta, non dai calchi con i segni della tecnica a rovinare la camicia in gesso: ho scoperto che sono stata segnata dai marmi.

Li ho scoperti fatti da mani e da sentimenti umanissimi, quelli di Antonio Canova. I marmi esposti Amore e Psiche, Venere e Adone, Endimione dormiente, La Maddalena, La danzatrice, Napoleone, Perseo, Le Tre Grazie… sono opera di un uomo sensibile, geniale, finemente colto, presente al suo tempo, diplomatico in situazioni politiche delicatissime e dedito integralmente all’arte, alla tecnica, alla ricerca della bellezza appunto.

Scoprire in mostra il quaderno con le frasi scritte di suo pugno How are you? I’m very well, thank you, apprendere che egli non mangiava e non dormiva prima di un incarico che lo preoccupava molto (in effetti non un ordinario colloquio di lavoro, ma riportare in patria l’indomani della sconfitta di Waterloo niente meno che La Trasfigurazione di Raffaello, i Cavalli di San Marco, assieme ad altre centinaia di opere) e che possedeva duecento parrucchini per coprire la stempiatura lo rende molto umano. La mostra bassanese restituisce la ricchezza e la complessità di Canova uomo e artista.

E allora ancora di più mi interrogo.

Amore e Psiche (Fig. 3), il giovane e la giovane che accarezzano una farfalla, irridescenti nella loro materia, che contro tutta l’evidenza del male del mondo continuano ad accarezzarla, forse mi stanno suggerendo qualcosa, o mi ricordano di non mollare qualcosa. Più che un atteggiamento, una postura. Nonostante le epidemie, le guerre, le carestie, anzi con la loro presenza non smettere di accarezzare una farfalla, di ammirarla, di contemplarla. E passi che non è solo un insetto che stanno tenendo delicatamente tra le dita, bensì l’antico simbolo dell’anima.

Possiamo oggi reggere la bellezza?

Ri-scoprirla non come antidoto narcotico alla difficoltà di vivere e di vivere nella Storia, ma come agente quotidiano di benessere che, in quanto tale, costruisce i nostri passi nel mondo.

Forse questi marmi mi diranno ancora qualcosa.

Ecco perché andiamo a vedere la mostra!

 

Visita guidata sabato 18 febbraio, ore 13.30.

 

Shopping Basket